La Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 4716/2020 ha ribaltato i suoi precedenti consolidati – conformi peraltro agli orientamenti della dottrina maggioritaria – in tema di recesso ad nutum dei soci da una società di capitali.
La vicenda controversa riguardava la posizione di due soci di una s.p.a. costituita nel 2004 e avente una durata sino al 2100, nella quale il recesso dei soci era espressamente escluso tramite previsione statutaria. Questi avevano comunque esercitato il recesso sulla scorta delle precedenti pronunce di legittimità, le quali equiparavano la previsione statutaria che stabilisce una durata della società per un termine particolarmente lungo a quella di una società costituita a tempo indeterminato (ex multis v. Cass., 29 marzo 2019, n. 8962)
In senso contrario, la Suprema Corte con la sentenza in commento ha stabilito che «è escluso il diritto di recesso ad nutum del socio di società per azioni nel caso in cui lo Statuto preveda una prolungata durata della società non potendo tale ipotesi essere assimilata a quella prevista dall’art. 2437, co.3, c.c., della società costituita per un tempo indeterminato, stante la necessaria interpretazione restrittiva delle cause che legittimano la fuoriscita del socio dalla società…».
Nello specifico, le motivazioni dei Giudici si baserebbero su due differenti assunti.
Il primo riprenderebbe il dettato dell’art. 2437 c.c. che come è noto prevede una serie di ipotesi di recesso del socio, e per ciò che qui interessa, stabilisce al terzo comma che qualora la società sia costituita a tempo indeterminato e le azioni non siano quotate in un mercato regolamentato, il socio possa recedere con un preavviso di 180 giorni, se lo Statuto non stabilisce un termine diverso. Tuttavia, l’ultimo comma della norma de qua statuendo la nullità di ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso di cui al primo comma, nulla dice circa l’ipotesi prevista dal comma terzo, che quindi dovrebbe essere considerata norma dispositiva derogabile dalle parti. Da qui la legittimità di una previsione statutaria che stabilisca l’esclusione del diritto dei soci anche nelle società costituite per un tempo indeterminato, in quanto, diversamente da quanto stabilito per il primo comma, risulta norma derogabile.
Il secondo escluderebbe che possa esservi un’applicazione analogica della disciplina del recesso prevista nella società di persone, in quanto le garanzie offerte dalla illimitata responsabilità dei soci, costituirebbe una tutela rafforzata per i terzi creditori; diversamente, come è noto, nelle società di capitali i creditori potranno soddisfarsi solo sul patrimonio della società. Per tale ragione il recesso ad nutum dei soci potrebbe comportare una minore garanzia per i creditori sociali, che hanno dunque un interesse rilevante al mantenimento dell’integrità patrimoniale della società di capitali.
Ciò premesso, la Suprema Corte nell’argomentare l’applicazione dell’art. 2437, co.3, c.c., non avrebbe spiegato se possa essere considerato legittimo il recesso ad nutum dei soci, quando ciò non è esplicitamente escluso da una previsione statutaria, nell’ipotesi di una società costituità per un tempo particolarmente prolungato. Poiché, da una parte affermerebbe la derogabilità della norma di cui al comma terzo dell’art. 2437 c.c., dall’altra sembrerebbe escludere, comunque, la legittimità del recesso ogniqualvolta la società sia costituita a tempo determinato, indipendentemente dalla sua durata. Argomentazione che potrebbe collidere col principio di inammissibilità di vincoli personali perpetui.
Stante l’importanza della materia, per la quale non è plausibile una difformità di pronunce della giurisprudenza di legittimità che vada a minare gravemente gli assetti statutari delle società di capitali, sarebbe auspicabile l’intervento delle Sezioni Unite.
V. il testo della sentenza al link http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20200221/snciv@s10@a2020@n04716@tS.clean.pdf
Avv. Francesco Giuseppe Ibba